La mossa dell’Agcom contro la sostituzione dei telecomandi classici: qual è la ‘minaccia’ da cui l’Autorità vuole difendere gli utenti.
Il 21 dicembre scorso c’è stata un’ulteriore tappa per il passaggio definitivo al nuovo digitale terrestre: a partire da tale data, tutti i canali hanno iniziato a trasmettere in alta definizione e, di conseguenza, chi non aveva un televisore HD ha dovuto munirsi di un apparecchio adatto a decodificare il formato mpeg4.
Ad essere oggetto di tali cambiamenti non sono solo i televisori: anche i telecomandi si adeguano ai tempi ormai dominati dai colossi dello streaming. L’ipotesi, piuttosto concreta, è quella di vedere il telecomando tradizionale (con i classici tasti numerati da 1 a 9) soppiantato da quello essenziale, altrimenti detto ‘smart’. L’Agcom però non ci sta e nei giorni scorsi ha annunciato di aver intrapreso una consultazione pubblica di 30 giorni “sulle linee guida e sulle prescrizioni regolamentari per garantire la prominence dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di interesse generale”.
L’intenzione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni appare evidente: salvaguardare la fruizione dei broadcaster tradizionali, sempre più ‘minacciati dall’invasione di piattaforme web e simili.
Addio telecomandi classici? Le proposte dell’Agcom per evitarlo
L’autorità amministrativa propone quindi una soluzione che venga incontro a tutti: quando si acquistano i nuovi televisori, nella confezione deve essere presente anche un telecomando tradizionale. Inoltre, deve essere possibile utilizzare ogni televisore anche con i telecomandi classici, provvisti dei tradizionali tasti numerici. Uno scenario del genere avrebbe ovviamente conseguenze anche sulla produzione degli apparecchi in questione.
Un’altra proposta lanciata dall’Agcom al riguardo è quella di introdurre un’icona che appaia al momento dell’accensione della tv sulla homepage. Spesso, infatti, su molte smart tv, la prima schermata visibile è quella con le varie app (Netflix, Prime Video, ecc.): ciò fungerebbe da incentivo ad uscire dai canali tradizionali per spingersi sempre di più verso tali app.
Con l’icona immediatamente visibile sulla homepage, invece, il telespettatore potrà scegliere su quali reti sintonizzarsi, ma tra queste devono essere incluse anche quelle della Rai, delle emittenti locali e private, delle radio nazionali e i canali tematici. Attività che rientrano a pieno di titolo nei servizi di interesse generale.
Agcom indica anche cosa fare per essere inclusi in questo elenco pur non facendo parte della Rai né di altre emittenti nazionali generaliste: “Gli editori, diversi dalla Rai e dalle emittenti nazionali generaliste, che intendono essere qualificati come “servizi di interesse generale” – spiega – dovranno presentare apposita richiesta all’Autorità entro 30 giorni dall’approvazione definitiva del provvedimento“.