Si sono concluse le indagini sulla gestione della pandemia Covid in Lombardia dopo tre anni: tra gli indagati anche Conte e Speranza.
Nessun italiano dimenticherà il febbraio del 2020, quando le prime notizie sulla diffusione del Covid hanno cominciato a girare. Quando l’epidemia di contagi si è mostrata in tutta la sua violenza e pericolosità dapprima soprattutto in Lombardia. Nei primi tre mesi di questo periodo storico complesso la sensazione è stata di impotenza nei confronti di un virus che sembrava inarrestabile. E che proprio in Lombardia, in particolar modo a Bergamo in quel momento, stava causando la morte di migliaia di persone.
A distanza di anni da quei giorni di paura e tensione abbiamo a disposizione più dati e sappiamo che il tasso di mortalità del Covid non è così alto come poteva sembrare in quei primi giorni. Viene da chiedersi, dunque, se ci siano stati errori nella gestione sanitaria dell’emergenza e se sarebbe stato possibile evitare che la conta dei morti fosse così alta nella zona di Bergamo.
Le indagini che la Guardia di Finanza ha condotto in questi tre anni sono state finalizzate proprio a capire se in quel periodo ci sia stata negligenza sia da parte delle strutture sanitarie che da parte degli enti governativi locali, regionali e nazionali. Un’indagine di prassi, dovuta in casi come questo per accertare che la morte di tante persone non sia stata causa di cattiva gestione.
Covid, diciannove indagati per i morti di Bergamo: tra questi ci sono anche Conte e Speranza
Le indagini, dopo tre anni spesi ad analizzare tabulati telefonici, chat, documenti sanitari, provvedimenti, mail e testimonianze di persone informate dei fatti, si sono concluse: sarebbero ben 19 gli indagati. Gli avvisi di garanzia sono già partiti e tra questi ci sono quelli per Fontana e Gallera, rispettivamente ex presidente ed ex assessore alla sanità della Regione Lombardia quando è scoppiata la pandemia. E quelli per Giuseppe Conte e Roberto Speranza, allora presidente del Consiglio e Ministro della Salute.
I filoni d’indagine sono stati tre: la mancata zona rossa, il piano pandemico e l’ospedale di Alzano Lombardo. Per la procura – affidatasi al parere dell’esperto Andrea Crisanti – la costituzione della zona rossa di Nembro e Alzano avrebbe potuto salvare migliaia di vite. Per quanto riguarda il piano pandemico, il suo mancato aggiornamento dal 2006 ha fatto sì che le strutture ospedaliere si trovassero sprovviste di guanti, mascherine e dispositivi salvavita (materiale che è mancato per giorni e settimane). Infine si pensa che il mancato intervento nei reparti dell’ospedale di Alzano in cui i casi erano in crescita possa aver acuito la diffusione del contagio.
Come riporta il sito ‘Quifinanza.it‘, il procuratore capo Antonio Chiappano, parlando dell’attività investigativa, ha dichiarato: “è stata oltremodo complessa sotto molteplici aspetti e ha comportato altresì valutazioni delicate in tema configurabilità dei reati ipotizzati, di competenza territoriale, sussistenza del nesso causalità ai fini dell’attribuzione delle singole responsabilità, ha consentito innanzitutto di ricostruire i fatti così come si sono svolti a partire dal 5 gennaio 2020”.